Forme di lavorazione della vite: una guida

Per un vigneto sano e produttivo

Ispirazioni / Consigli sempreverdi

22/09/2021

Tempo di lettura stimato circa 7 minuti

D’estate, nel pieno del loro rigoglio, a uno sguardo poco attento i vigneti possono sembrare tutti uguali. In realtà sotto la coltre di foglie e grappoli le viti nascondono una struttura precisa. L’architettura che, grazie alla potatura, viene data alle piante di vite per farle produrre al meglio si chiama “forma d’allevamento”.

Nella coltivazione della vite la scelta della forma d’allevamento è cruciale perché, in linea di massima, è definitiva per una vigna. La devi valutare in base al vitigno, al portainnesto, alla densità del vigneto, al clima, al tipo di terreno, al contesto (pianura, collina etc.), al risultato che desideri (una produzione abbondante oppure limitata ma di alta qualità), alla possibilità di meccanizzare i lavori (in primis potatura e vendemmia). Nella nostra penisola sono diffuse diverse forme d’allevamento – e quindi diverse modalità di potatura – della vite, frutto della varietà di ambienti, vitigni e tradizioni locali che caratterizzano il territorio.

Oggi parleremo di quella lavorazione della vite che è la forma d’allevamento, facendo una panoramica di alcune tra le principali: maritata, ad alberello, a pergola, a tendone, Guyot, doppio capovolto, cordone speronato, cordone libero, Sylvoz, Casarsa, GDC.

Lavorazione della vite e forme d’allevamento

Perché la forma d’allevamento è così importante nella coltivazione della vite? Perché l’esposizione al sole è determinante per la qualità e la composizione dell’uva e, di conseguenza, per le caratteristiche del prodotto finale. La vite infatti intercetta la luce sia in funzione dell’altezza della pianta, della superficie esposta, dello spessore della chioma, del portamento della vegetazione – aspetti correlati alla forma d’allevamento –, sia in funzione dell’orientamento dei filari e della densità d’impianto (data dalla distanza tra le piante sulla fila e dalla distanza tra i filari). Tutti questi fattori condizionano anche la salubrità delle piante di vite e l’incidenza delle malattie e degli attacchi da parte dei parassiti.

Le forme d’allevamento della vite si possono classificare in vari modi. Ad esempio in base all’altezza dei tralci (cioè i rami di un anno della vite), a seconda di come la vegetazione è disposta nello spazio (a controspalliera o a filare, a chioma libera o a cortina, in volume, a tetto), rispetto al tipo di potatura necessaria (corta, lunga o mista), secondo se siano meccanizzabili o no oppure distinguendo fra tradizionali o moderne. Dunque vediamo le forme d’allevamento più diffuse.

L’allevamento delle viti maritate è una tecnica di origini antiche che usa un albero come sostegno vivo per far crescere i tralci. Vengono impiegati esemplari singoli (come aceri e olmi) o in filari; in quest’ultimo caso si parla di alberate (di olivi, alberi da frutto, aceri o pioppi). Ogni zona geografica ha sviluppato le proprie versioni di viti maritate e alberate.

L’alberello è una forma d’allevamento tradizionale, del tipo “in volume”, che non ha bisogno di sostegni: la vite infatti viene tenuta bassa. Si tratta di una tecnica diffusa in climi siccitosi, ad esempio nell’Italia del Sud, o freddi. Ci sono più varianti di alberello, con diversi modelli di potatura della vite; richiedono comunque molto lavoro manuale. Può essere una soluzione interessante per coltivare un piccolo numero di viti o per tenerle in vaso.

L’allevamento a pergola ha più versioni locali e derivate, come la pergola trentina, la veronese, la bassa delle Cinque Terre; il tendone; la bellussera o sistema a raggi. Di regola la pergola prevede un sistema di fili metallici, sorretto da pali, su cui crescono i tralci. Nella pergola trentina il “tetto”, formato da fili tra loro paralleli, è inclinato rispetto al suolo e fa da appoggio a 2-4 capi a frutto (tralci con le gemme fruttifere che produrranno nei mesi successivi) per ciascuna vite, disposti a raggiera e potati a Guyot (vedi più avanti). La pergola veronese si differenzia per l’orientamento del tetto, parallelo al terreno.

Il tendone è una forma d’allevamento tipica del Centro-Sud Italia, in particolare destinata alla coltivazione della vite per uva da tavola: da ogni vite partono 3-5 capi a frutto che si appoggiano a un reticolo di fili parallelo al terreno e sostenuto da un’impalcatura di pali.

Tra le forme d’allevamento quelle a controspalliera sono più moderne: ecco di seguito le principali. Nel Guyot con la potatura delle viti su ogni pianta lasci solo un capo a frutto e uno sperone (tralcio accorciato energicamente, provvisto di poche gemme). Il capo a frutto va piegato in orizzontale lungo un filo, mentre lo sperone rimane a produrre i rami fra cui, l’anno dopo, selezionerai il nuovo capo a frutto. Le viti così coltivate hanno bisogno di un’impalcatura di pali e 3 fili orizzontali: uno per reggere il capo a frutto e gli altri, sopra, per sostenere la vegetazione e i grappoli prodotti nella bella stagione. La forma d’allevamento chiamata “doppio capovolto” (o archetto) deriva dal Guyot e presenta 1 o 2 capi a frutto, curvati verso il basso, e 1 o 2 speroni.

Nel cordone speronato, una delle forme più frequenti, è il fusto della pianta di vite a prolungarsi orizzontalmente, lungo un filo, in un cordone permanente. È un’altra forma d’allevamento a controspalliera e prevede dei pali per reggere fili a 3 altezze: il più basso porta il cordone, su cui sono inseriti degli speroni con poche gemme; gli altri portano la vegetazione e i grappoli che cresceranno dagli speroni. Il cordone libero (o cortina semplice), derivato dallo speronato, è sostenuto da un unico filo perciò, su entrambi i lati del cordone, i rami si piegano verso il basso sotto il peso di vegetazione e grappoli. Sono sistemi meccanizzabili sia per quanto riguarda la potatura che la vendemmia.

Un’altra forma d’allevamento a controspalliera con cordone permanente è il Sylvoz. In questo caso sul cordone sono inseriti dei capi a frutto potati lunghi e piegati all’ingiù; i pali sostengono una serie di 5-6 fili: mentre al più basso vengono legati i tralci che produrranno grappoli, il secondo sostiene il cordone e i più alti la vegetazione.

Il Casarsa è una forma d’allevamento che ha origine dal Sylvoz. Al di sotto del cordone i capi a frutto non vengono legati, ma lasciati a curvarsi assecondando lo sviluppo della vegetazione e dei grappoli. La vegetazione destinata al rinnovo della pianta, invece, viene sostenuta dai fili più alti. È molto adattabile, tanto da poter essere applicato in vigneti già produttivi, ed è meccanizzabile.

Il GCD (Geneva Double Curtain) è una forma d’allevamento a doppia cortina, in cui ogni filare di viti presenta 2 pareti di vegetazione ricadenti, una per ciascuno degli interfilari adiacenti. L’impalcatura è formata da pali a T con un filo teso a entrambe le estremità degli elementi trasversali. Ciascun filo sostiene uno dei 2 cordoni permanenti con cui è allevata ogni pianta. Si tratta di un sistema di coltivazione della vite completamente meccanizzabile.

Potatura della vite e non solo

Le viti sono messe a dimora sotto forma di piantine – dette “barbatelle” – innestate. Per impostare la struttura voluta le barbatelle hanno bisogno di alcuni anni, variabili a seconda della forma d’allevamento scelta, di potatura di formazione. Nei primi anni le viti non vengono subito fissate ai sostegni, ma sono lasciate libere per un certo periodo.

Quando le viti entrano in produzione alla potatura di formazione succede, appunto, la potatura di produzione. Questa prevede la potatura invernale o secca durante il riposo vegetativo (tra novembre e marzo) e la potatura estiva o verde, quell’insieme di interventi che vengono fatti tra la primavera e l’estate (spollonatura, scacchiatura, legatura dei germogli, cimatura, sfogliatura, diradamento dei grappoli). Per la potatura della vite puoi sempre affidarti alla precisione degli attrezzi manuali da potatura, come le cesoie.

Trovi altre indicazioni sulla potatura della vite nel nostro articolo su come e quando potare l’olivo, la vite, il limone e il melo.

Oltre alle normali potature delle viti, nel vigneto possono essere necessari dei lavori straordinari, ad esempio nel caso di piante colpite da malattie del legno. Potresti doverle rimuovere dalla vigna prima della potatura invernale, in modo che l’infezione non si diffonda, magari proprio attraverso gli attrezzi da potatura che, ricordiamo, devono essere puliti e disinfettati. Le viti malate vanno tagliate severamente, ad esempio con una motosega da potatura, e poi estirpate; mentre segatura, legno e radici infetti vanno allontanati dal vigneto.

Per pulire gli interfilari dai residui della potatura delle viti può esserti d’aiuto un soffiatore. In alternativa puoi lasciarli sul suolo per poi triturarli con un trinciasarmenti e, quindi, interrarli con la lavorazione del terreno.

Se invece hai scelto di gestire il suolo del vigneto con l’inerbimento, lo sfalcio è un’attività di ordinaria manutenzione che - a seconda del tipo di inerbimento, del contesto e delle dimensioni della vigna - puoi svolgere con il trinciasarmenti o con un trinciaerba, oppure con un trattorino, un tagliaerba o un decespugliatore.

A proposito di pulizia del vigneto con taglio dell’erba e delle infestanti, ecco alcuni approfondimenti: quale scegliere fra trinciaerba e trinciatutto, guida alla scelta del trattorino, tutto quello che c’è da sapere sui tagliaerba semoventi, qual è il miglior decespugliatore.

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